Webzine immaginale curata da Phoebe Zeitgeist
Aliena teatrale, in collaborazione con altri agenti subatomici di linguaggio

Concetto spaziale
con Phoebe Zeitgeist, Diego Vincenti, Luca Intermite, Marco Maria Linzi, Giona Vinti - Hyena, Traslochi Emotivi, TeatriInGestazionemarzo 2021

Tema per una performance di Butoh immaginaria - Giona Vinti-Hyena

Messinscena // Restaurazione

di Diego Vincenti

Rompi i margini. Per ridefinire il mondo. Che la vita tranquilla è terminata. Solo che poi ti accorgi che il giochetto ti è esploso fra le mani. La realtà aveva carte migliori e ora è lei a gestire le modalità dell'infrazione. Elargendo permessi. Chiudendo ogni varco d'accesso. Tesi verso il superamento della materia, ci si muove allora isterici, fragili, disperati. Ancora affezionati al pensiero critico.

Eppure nel Manifiesto Blanco le idee avrebbero dovuto trovare germinazione nella società, in attesa di essere espresse da artisti e intellettuali.

Nella fioriera non cresce più nulla, i germogli hanno date di scadenza ravvicinate. Natura morta(le). Mentre la paura mangia l'anima, il corpo e si muove feroce nella sfera dei desideri. L'illusione di una militanza trascurata, ha fatto credere che il teatro potesse riscoprirsi unito e avere un sussulto, trascinandosi fuori dall'emergenza. Ma è il mondo che continua a squarciare la superficie del palcoscenico, non il contrario. La struttura è un'eco lontana. E ci si scopre a scommettere le proprie esistenze su un settore stanchissimo, atomizzato. Dove le prossimità si trasformano in un contagio arido. Di menefreghismi e ridimensionamenti. Ma non dovevamo fare rete? O almeno un piccolo kindergarten, dai. Per provarsi con la vita. O quel che ne resta.

Parterre di solitudini. C'è chi scalcia, nel tentativo indomito di sopravvivere. Andare oltre il vivere. E c'è chi si rintana nel privilegio. Ben consigliando. Al telefono. Il teatro come microcosmo di una società sull'orlo di una crisi di nervi. Ma la dimensione del potere è sempre più esposta. Si attende una risposta plurale. Che si sporchi col materico e il concettuale. Eppure rimane addosso una strana sensazione: non è che l'unica rappresentazione di successo in questi mesi, sia stata proprio la messinscena dell'essere tutti sulla stessa barca?

Forse il problema sorge dopo.

Così scriveva Enzo Mari nelle istruzioni al pubblico di “Eppur si muove”. Un grande disco di legno. Da far ruotare e tenere poi in maniera salda sul punto scelto, in corrispondenza di una delle tre parole: Restaurazione, Rivoluzione, Riformazione. Ma questa sorta di ruota della fortuna politica è incapace di nuovi equilibri. Mantiene la posizione esclusivamente grazie allo sforzo di chi la muove. Che deve poi trovarsi un cambio con qualcuno, disposto a reggere al suo posto il peso dell'installazione. Appena lasciato, il disco tende infatti a tornare sempre alla parola originaria: Restaurazione.

The girl in the box

di Traslochi Emotivi

Una scatola, a china, ogni giorno. Necessario rito, necessario ritmo, necessaria attesa. Poche ore d'aria e del muschio sotto i capelli.

“Locàre al di là/oltre. L’etimologia del termine terrore è da ricondursi al verbo latino terreo o terseo, che significa letteralmente fare tremare, impaurire, da cui deriva anche il verbo atterrire. In questo verbo troviamo, quindi, la radice tras- o tars- che significa letteralmente muovere, agitare e che ritroviamo in molti termini che hanno a che fare con lo spostamento di persone o cose come: trasloco.”

Traslochi Emotivi, The girl in the box #4, serie infinita, disegno a china, 2021
Traslochi Emotivi, The girl in the box #5, serie infinita, disegno a china, 2021

Appunti per un Concetto Spaziale

di Marco Maria Linzi

Il taglio di Fontana, quello sguardo sull'infinito, è nel movimento dell'attore, solo che quell'infinito è primario, non solo evocato o simbolico.

Il vuoto è anche la parola impronunciabile, il pensiero negletto, il respiro, dopo un collasso aristotelico di spazio e tempo.

È nel vuoto che si cerca la realtà. Il vuoto è la caduta che non arriva in fondo, è la ferita tra pieno e pieno: il vero spazio di interrogazione. Dal pieno inizia il gioco dell'arte, dal vuoto si fa finalmente pericolosa. L'arte nasce dal vuoto e mentre riempie lo spazio ricerca il vuoto. Il vuoto serve la realtà quando apre il linguaggio del sogno. Il conflitto è tuttora inevitabile, ma è in quel momento prima di ogni risoluzione, quel vuoto tra protagonista e antagonista, che si apre il vero spazio dell'arte. Perché è l'abbandono del controllo, è lo spazio vuoto portato nelle mani del pubblico. Una bestemmia per il teatro documentario.

L'Antagonista è una figura che abita ancora il palco ma è solo un medium; il vero interlocutore, il vero “nemico”, è il pubblico, e il vero spazio drammatico è il vuoto. C'è un pubblico, numeroso, che ha paura del vuoto, che ha paura di essere considerato senza essere amato.

Una costanza di pieno, muscoloso, arrogante, pieno di sé, è piazzato con i piedi ben saldi su molti palcoscenici. In questi casi il pubblico è il contenitore che deve essere riempito. Non basta darci un taglio. Più si riempie più bisogna tornare indietro, ma il percorso non è inutile.

Io scrivo mentre è il tempo in cui l'immagine è l'unica lingua ragliata da tutto il mondo. Non si tratta certo di sfregare due pietre per accendere un fuoco, mentre il mondo va in fiamme con la benzina. Mi sono chiesto spesso: Come cavalcare l'asino ed essere l'asino, allo stesso tempo? Alla radicalità serve la teoria, la teoria però deve stare lontana dal palco, ad un certo punto deve rimanere a casa, in ginocchio, insieme alla benzina.

Prima di questa pausa dal niente, in Occidente non era tempo di avanguardie. Oggi quasi nessuno vuole veramente precedere i tempi, occupare uno spazio vuoto, rischiare la fame e perdere la fama; in verità qualcuno vuole portarsi avanti, ma solo di quel poco che possa provocare uno straniamento temporaneo, che possa essere riconosciuto almeno il giorno dopo. Speriamo non sia nato nessun Büchner, una distanza linguistica di cento anni andrebbe perduta. Qualcosa è cambiato in questa dilatazione di spazio - tempo?

Un tempo bastava un'urgenza, anche una piccola scomodità per inoltrarsi nella foresta, oggi vedo perlopiù giardini, eppure si soffoca.

Niente avanguardie, ma possiamo vantare qualche profeta dell'apocalisse, gente che non scopa con l'arte e che la definisce mettendosi su una sponda del fiume a guardare gli altri che fanno il bagno.

Gente di chiesa, che aborrisce i rituali pagani, invocando rituali della ragione; per questo disquisisce infastidita dai bagnanti, questo mondo vorrebbe sterilizzarlo, bruciarlo sul rogo dell'intelletto.

Vanno destabilizzati i concetti di profondità e di superficie, sono due spazi che in arte hanno la stessa importanza. Uno si muove dentro l'uomo, l'altro attorno all'uomo.

Il teatro è uno spazio limitato, il cinema è uno spazio illimitato. Il teatro esplora la profondità dell'essere umano. Il teatro si muove in verticale. Il cinema esplora la superficie dell'essere umano, si muove in orizzontale. Il panorama del teatro è un panorama interiore che materializza e porta fuori l'ambiente interiore dell'uomo e lo indaga in uno spazio limitato, ma estremamente concentrato. Il panorama del cinema è un panorama esteriore che agisce sull'uomo, agisce e lo definisce.

Entrare nelle case con uno strumento bastardo. Giocare con un panorama illimitato, aperto, che si chiude sul nero. Partendo dal teatro attraversare lo spazio stretto dell'obbiettivo, da poveri passare come il cammello dalla cruna di un ago. Passare col corpo digitalizzato, che invoca il ritorno della materia, in cerca dell'impossibile relazione; cercare l'attrito produce energia e conoscenza, sperimentare il fallimento senza darlo per scontato è un percorso che non dimenticherò.

Devo ricordarmi di dare un po' di acqua ai fiori del terrazzo, non è detto che piova tutti i giorni. Il mio vicino, un uomo di chiesa, ha cercato di convincermi che la natura avrebbe provveduto. E' evidente che non lo ho ascoltato. Non ho paura di sporcarmi, non di questo, perché ora so: se vivi nell'urgenza, lo spettro del vuoto non ti dimentica, è sempre sullo sfondo che cucina, nutre senza mai farsi digestivo. In certi tempi, in questi tempi, è troppo facile ignorarlo, barricarsi nel Corpo/Teatro, aspettare che piova, piangendo il suo ritorno.

Traslochi Emotivi, The girl in the box #6, serie infinita, disegno a china, 2021
Traslochi Emotivi, The girl in the box #7, serie infinita, disegno a china, 2021
Traslochi Emotivi, The girl in the box #8, serie infinita, disegno a china, 2021
Traslochi Emotivi, The girl in the box #9, serie infinita, disegno a china, 2021
Traslochi Emotivi, The girl in the box #10, serie infinita, disegno a china, 2021
ASPRA_silentfragments - Luca Intermite / Phoebe Zeitgeist
Traslochi Emotivi, The girl in the box #11, serie infinita, disegno a china, 2021
Traslochi Emotivi, The girl in the box #12, serie infinita, disegno a china, 2021

Ricalcolo… Lo spazio transitorio del teatro in pandemia

di Gesualdi | Trono

Per la prima volta nella storia dell'umanità, viviamo la percezione collettiva dello spazio casalingo come paesaggio costante e comune, abitato per un tempo anch'esso definito simile per tutti, o quasi. Un osservatorio privato ma allo stesso tempo schiuso, esposto alla piazza virtuale, fino a farsene estensione. L'umanità tutta siede accanto a noi sul nostro divano. Siamo soli, sì, ma non isolati, perché iperconnessi. E’ questo il tempo dell’emersione dunque. Tutte le contraddizioni, i conflitti, le differenze, conquistano il primo piano; sullo sfondo sempre più sfocati ci siamo noi tutti, gli uomini, ad osservare attoniti il mondo intero, tutto intero in un colpo d’occhio. Nello spazio tra il primo piano e lo sfondo può ricollocarsi oggi l'operazione artistica, per costruire in verticale, radicarsi e svettare. Oggi, in questo spazio transitorio di emergenza, gli artisti sono in quello sfondo, tra gli spettatori; ma con la differenza che gli artisti sono in grado di avanzare verso quello spazio di mezzo, dove il senso comune abdica alla sensazione e non si attende il futuro ma si scrive il momento, ovvero il movimento (v. radice di momento). In questo spazio dobbiamo essere bravi a portare gli spettatori, a trascinare con noi il pubblico, non lasciarlo sullo sfondo, dove si trova ora, relegato al consumo. Deviare le forze da una produzione culturale fine a se stessa alla creazione dello spazio del sapere. Con attitudine più archeologica e scientifica che non imprenditoriale. In questa direzione vanno i nostri sforzi del momento: abitare e non spingere; scavare, riscoprire e condividere materiale d'archivio, attivare progetti sospesi, inaugurare spazi di senso a partire dalle opere e dalle esperienze passate.
Il teatro per noi è prima di tutto un luogo dove è possibile la coesistenza di dimensioni multiple, il cui comune denominatore è il momentum appunto vissuto dal vivo. Uno spettacolo non dovrebbe mai poter essere considerato prodotto, ma evento sociale, che richiama e riunisce una collettività e si fa medium e non oggetto di consumo. Non prodotto ma traccia di un incontro di un evento unico, di presenza estesa al corpo sociale (De Monticelli). Quando uno spettatore acquista un biglietto paga il diritto di accesso ad un luogo dove accadrà un’esperienza unica e collettiva. Non compra lo spettacolo, perché non può portarselo a casa, ma la memoria e le sensazioni che si scriveranno indelebili nel suo corpo, nella sua mente, e il fatto di essere stato testimone attivo dell'evento, in pratica paga l'accesso ad una epifania collettiva, una dimensione del sé poetica e politica, che non sarebbe possibile in un altro luogo, in un altro tempo e da solo, che non può avvenire se non dal vivo. Allora oggi in emergenza, non possiamo che prepararci al prossimo incontro. Dilatare quanto più possibile quello spazio tra lo sfondo e il primo piano e capovolgerlo, renderlo verticale, e dare nuovo senso alla presenza. Poi certo questo tempo di chiusura forzata ci dà la possibilità di accedere a dimensioni creative altre, che poi in realtà sono dinamiche che il teatro in contesti di coercizione e marginalità sociale mette in moto da sempre. Così la curiosità soggettiva, il protagonismo più che la necessità, ci spinge all'esplorazione di nuovi mezzi ed espressioni. Ma senza la prossimità dei corpi, senza crudeltà (Artaud) non c'è teatro. Ci può essere Spettacolo, forse.